mercoledì 6 novembre 2013

Resoconto stenografico dell'intervento della sen. Bignami del 6 novembre su DL Istruzione

BIGNAMI (M5S). Signor Presidente, cittadini senatori, il cittadino Immanuel Kant disse: «Due sono le scoperte che si possono considerare le più difficili per l'uomo: l'arte di educare e quella di governare, e però si disputa sempre su queste due idee». Sia il Governo che l'educazione sono istituzioni costituite dal punto di vista sociale, come guida di un popolo, da una parte, e guida di un discente, dall'altra. Entrambe le istituzioni devono portare l'uomo e il discente al godimento degli effetti benefici della democrazia, della libertà e alla sua conoscenza. Se nel mondo della scuola esistono comunque eccellenze e valori che danno lustro agli sforzi fatti dagli insegnanti e ai grandissimi risultati che molti allievi riescono a produrre, è anche vero che questo stesso mondo è colmo di carenze e di inefficienze strutturali. Difficile è dire la stessa cosa per il mondo della politica e dei nostri governanti, dove il lustro degli sforzi fatti e i grandissimi risultati che abbiamo di fronte parlano da soli.
La democrazia è imprescindibile dalle modalità di istruzione di un popolo. Il cammino e la crescita dell'una corrisponde al cammino e alla crescita dell'altra; la regressione dell'una corrisponde alla regressione dell'altra. Noi vorremmo cambiare il Paese, colleghi senatori. Noi dovremmo salvare il Paese. Questa incombenza, purtroppo, è sotto la responsabilità della vostra maggioranza, ma la mia sensazione è che non lo stiate facendo. Possibile che non si possa far nulla? Possibile che non si debba fare un po' di più? Siamo in mano a un Governo paradossale, dove pochi decidono, fanno e disfano in preda a una parossistica oscillazione tra due ideologie contrapposte, ma senza risultati. È ora di dire basta, a cominciare dalla scuola. Se è vero che la civiltà di un Paese si misura dallo stato delle proprie carceri e quindi possiamo dirci molto preoccupati del nostro livello di civiltà, noi pensiamo che il livello di democrazia di un popolo si misuri dallo stato delle proprie scuole. Proprio per questo siamo molto preoccupati, anzi, temiamo che la democrazia abbia avuto una battuta di arresto, da molto tempo. E poiché la democrazia è cosa pubblica, proprio per questo consideriamo la scuola pubblica fondamentale e fondante per la democrazia stessa. La realizzazione di un'etica democratica può passare attraverso il sostegno alla sola ed esclusiva scuola pubblica, come ben chiaramente è espresso all'articolo 33 della nostra Costituzione: «Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». La scuola (e voglio qui ricordare la visione di Calamandrei) è un «organo costituzionale»; è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima. Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Noi non abbiamo più una scuola forte e sicura. L'incapacità manifesta dello Stato nella gestione della cosa pubblica e della scuola pubblica ha ceduto il passo a realtà private, ovunque, magari più efficienti in certi aspetti, ma pur sempre legate a interessi che incrociano piani diversi da quelli del puro e semplice bene comune. Siamo arrivati al pastrocchio istituzionale della scuola paritaria, come se esistesse la necessità di confermare l'esistenza di una possibile «scuola disparitaria». Ma cos'è la scuola paritaria? È una scuola pubblica privata o è una scuola privata pubblica? In quale pasticcio istituzionale ci siamo messi? Possibile che lo Stato non sia capace di fare lo Stato? Possibile che la nostra Costituzione sia bistrattata in continuazione? Siamo qui riuniti in difesa, al servizio della scuola. Ma quale scuola? Lasciamo perdere per un attimo gli edifici. I dati OCSE sulla scuola italiana sono sconfortanti: oltre un italiano adulto su quattro non possiede le competenze alfabetiche e digitali di base e quasi uno su tre ha esigue conoscenze matematiche. Senza considerare il popolo femminile, sottoimpiegato sul piano professionale. Le competenze relative al «leggere e scrivere» e quelle relative alla «interpretazione dei dati e dei grafici» sono sconfortanti. Sono questi i risultati: quasi un terzo della popolazione che legge un libro, o qualsiasi altro testo scritto, riesce ad interpretare soltanto informazioni semplici. Ricordo le parole sconsolanti del Ministro del lavoro in merito alla ricerca OCSE: «Dalla ricerca usciamo con le ossa rotte». E sì, caro Ministro, con le ossa rotte, ma forse ancor di più col cervello in pappa. Una delle situazioni più preoccupanti rimane quella dei NEET, cioè i giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Contro ogni pessimismo, la strada dell'educazione è percorribile sempre, anche quando i giovani ci sembrano così lontani, così imprevedibili, così violenti nelle loro reazioni. Non bisogna perdersi d'animo. I giovani si trovano bene dove si sentono amati, tra persone che possono amare, tra gente che guarda in avanti con entusiasmo, senza mai spegnere la loro speranza ma, soprattutto, i loro sogni e le loro passioni. Salvare i giovani vuol dire salvare il mondo, salvare noi stessi, adulti, spesso in crisi perché non sappiamo dove orientarci e dove orientarli. È importante offrire loro prospettive di lavoro, di occupazione non precaria, come è importante comunicare loro una cultura della vita, della solidarietà, della bellezza, dell'attenzione alle persone. La scuola, citando ancora Calamandrei, è organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, un'oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie, di tutti i cittadini. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali. È una vera mancanza di noi adulti quella di non valorizzare o di valorizzare scarsamente il patrimonio che ogni giovane porta dentro di sé. È importante vedere o, alle volte, credere a una perla di bontà che brilla nel fondo del loro cuore, scoprire un frammento di intelligenza, un seme di buona volontà, che favorisca il sogno di un traguardo da raggiungere, raggiungibile, anche considerando gli ultimi e più bisognosi di noi. L'articolo 34 della nostra Costituzione dice: «La scuola è aperta a tutti. (...) I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». E il numero chiuso? Non cozza con il principio contenuto nella nostra Costituzione? Siamo in mano a un Governo che impone a questo Parlamento ogni cosa con autocrazia... (Il microfono si disattiva automaticamente). PRESIDENTE. Concluda, senatrice Bignami. Le concedo qualche altro secondo per concludere. BIGNAMI (M5S). Qual è il nostro margine di manovra? Nullo, minimo. O è indifferente. Quali sono le nostre reali possibilità di contribuire al cambiamento? Nulle. Allora, possiamo tranquillamente andarcene tutti a casa! Lasciamo questa piccola oligarchia mascherata da democrazia. Torneremo quando la democrazia premierà il merito, come nella scuola anche nella politica, con leggi elettorali giuste e non con suine oligarchie. Ma ora con questo decreto possiamo dire di aver cominciato qualcosa. Con questo decreto forse stiamo prendendo la giusta direzione, anche se prediligere il volere di un docente al diritto di un ragazzo disabile è fuori da ogni prospettiva democratica. Temo che sia solo un inutile assecondare la volontà di chissà quale potere consociativo. Ora, nella speranza che qualcosa cambi, non mi resta che alzare gli occhi al cielo mentre ai nostri ragazzi è negato l'orizzonte.